sabato 9 febbraio 2008

Adesso ho una casetta (piccolina) in Canadà

... e finalmente arrivò il momento del Canada.

Quella che si vede nella foto (sepolta sotto mezzo metro di neve) è la mia casetta, al 29 di Washington Ave, Ottawa, Ontario. La mia stanza è al primo piano e dà dall'altra parte. Ho provato a girare intorno alla casa per fare la foto alla mia finestra ma c'è troppa neve e non si riesce!
I miei coinquilini sono Anny (la padrona di casa) e Luke. Anny è abbastanza simpatica e fieramente canadese. Di mestiere fa la "personal coach" (cioè?), e sembra che lavori come motivatrice, oltre a tenere corsi di autostima e idiozie del genere. Quanto a Luke, credo sia decisamente il punto di svolta del mio periodo in Canada: è simpaticissimo, molto "easy going" e fuori di testa quanto basta per smuovermi dalla mia pigrizia. Per chi conosce il tipo, è una specie di Delvigo in salsa canadese, ma un po' meno bohemienne. Sta con una pianista giapponese che vive in Spagna e fa una marea di cose, dal fotografo di moda al tecnico delle luci (pare abbia lavorato a Barcellona con Woody Allen) e parla 5 lingue tra cui, purtroppo, l'italiano. Eh sì, un difetto lo doveva avere. Ma sto cercando di usare l'inglese quanto più possibile...

La città, come mi aspettavo, non è poi granchè. Capiamoci, molto pulita e ordinata, e poi con la neve fa un certo effetto; ma per il resto è una comunità di sventurati che cerca in ogni modo di sfuggire al freddo assurdo che fa.
Come direbbe l'ingegnere: "io mi domando e dico", ma quando nelle grandi migrazioni dei secoli passati gli europei si sono stabiliti in Nordamerica, come cazzo gli è venuto in mente di venire qui? Cioè... O sono arrivati a maggio e poi ormai la frittata era fatta, o altrimenti è incomprensibile come si possa pensare di fermarsi qui e non andare in un posto in cui, almeno, non sia necessario assumere dei dipendenti comunali con la qualifica di "rompighiaggio" (sic!).
L'impatto con questi poveracci intirizziti che si aggirano per la città, però, devo dire che è stato meraviglioso. Ho conosciuto diversi amici di Luke (per lo più commercianti che avevano il negozio a fianco al suo in uno degli innumerevoli Shopping center) e sono tutti estremamente aperti e simpatici. Bevono come matti e sembrano insensibili al freddo polare che c'è in strada, ma sono sicuramente a posto.

Ps. è evidente che il mio umorismo, sempre bistrattato in terra nostrana, è invece nelle corde del Paese degli orsi e dello sciroppo d'acero. Ho raccontato la storiella della differenza tra il kebab (qui più tecnicamente definito shawarma) e il sesso orale e sono rimasti tutti parecchio soddisfatti...

giovedì 7 febbraio 2008

Leaving DC, never easy

Ieri sera, uscendo da un locale che sembrava perfetto per una puntata di Beverly Hills 90210, mi sono preso un’acqua che neanche nelle migliori notti bianche romane. Per fortuna mi sono rifugiato in un taxi che passava provvidenzialmente di lì.
Ora sono all’aeroporti di Washington Dulles (quello di 58 minuti per morire con Bruce Willis!) e mi sto godendo l’accesso gratuito alla rete wifi dell’aeroporto (che però funziona solo con i browsers e non con skype o messenger… doh!).

Partendo dal DC devo dire che la città è fenomenale, specialmente Georgetown (l’università è un posto incantevole, sono stato più di un’ora solo a guardarmi intorno). Tra l’altro andare a Georgetown non è semplicissimo: la metro ci passa sotto ma non si ferma, pare che più di una volta ci sia stato un referendum di quartiere e gli abitanti abbiano scelto di non avere una fermata propria per mantenere un po’ di tranquillita: che signori! Il centro invece è un po’ spettrale, pieno di questi Memorials e di musei di dubbio rilievo. Quello che più mi interessava era il National Museum of American History – nome piuttosto altisonante per un posto dove si espone l’originale Kermit la rana e il giubbotto di pelle di Henry Winkler (Borsa… Fonzie!) – ma purtroppo riapre solo tra qualche mese.
La vista dal Washington Monument è però una cosa da non perdere. Sì sì, è vero, è un mega obelisco di malcelato sapore massonico che neanche la Lonely planet esita a definire “quite fallic”, ma un passo lì ve lo consiglio. Per il resto la zona del Mall è piena di questi pseudo mausolei, tutti di marmo bianchissimo (un po’ pacchiano, direbbe Thomas Prostata) e che si vedono in una marea di film (da Forrest Gump a La rivincita delle bionde 2). Quello più interessante e poi in posizione molto scenografica è il Lincoln memorial, che poi è anche il posto del famoso discorso/sermone dell’I have a dream.
Assistere alla seduta del Senato è stato come andare a una riunione di condominio (ah, Nastasi Bastardo, non c’entra niente ma fa sempre piacere): i commessi stravaccati sui gradini del banco della Presidenza, i senatori (Liebermann compreso) che intervengono con tanto di cartellone illustrativo e bacchetta da maestrina. Quanto al super Tuesday, devo dire che il genere “maratona elettorale” non appassiona gli americani. Non c’è stato un simil-Vespa che la menava tutta la sera con l’aggiornamento delle previsioni, né un analogo di Emilio fede che piazzava bandierine (e meno male…). La cosa migliore l’ha detta Thomas: “domani mattina saprò com’è andata”. Che dire? Saggezza made in US.

Una delle cose che mi ha colpito della città, oltre quantità immane di polizia (e ai modi militareschi con cui questa affronta chiunque, dal barbone al bimbo che vuole attraversare la strada dove non si può) è la quantità altrettanto immane di cartelli di divieto. Ce n’è uno per qualsiasi cosa: i divieti d’accesso hanno anche la scritta “do not entry”; negli autobus non si può stare in piedi vicino al conducente; cani, gatti, armi e i fumatori (!) non possono entrare praticamente dovunque. Fin qui sarebbe quasi comprensibile. Ma come affrontare il divieto di lasciarsi scivolare modello Mary Poppins sul corrimano dell’imponente scalinata del Lincoln Memorial? Oppure… C’era proprio bisogno di segnalare che è vietato uccidere gli scoiattoli nei Constitutional Gardens? O che nelle tribune per il pubblico dell’Aula del Senato è vietato scendere le scale a due a due? Mah…
Voglio capire il discorso libertà positive/libertà negative, ma che caspita…

Tra una mezzora ho il volo per Ottawa, dove mi aspettano 6 gradi sotto zero e la neve.

mercoledì 6 febbraio 2008

La capitale degli acronimi

Dopo che in Germania avevo sentito persone dire di essere venute con un "PKW" (leggasi pecavè, ossia Personenkraftwagen) per far capire agli altri di aver preso la macchina, pensavo aver raggiunto la frontiera che delimita del linguaggio normale dalle storpiature per gli sms. A Washington ho capito che si può andare ben oltre. Passi il ricorso continuo al DC per dire District of Columbia, ma POTUS per President Of The United States mi pare sinceramente troppo. Allora Berlusconi che salutava George Dabliù aveva ragione. O anche l'infame traduttore dei dialoghi di Rogger Rabbit che aveva fatto passare "Errecappa" Maroon per il direttore degli studios. Vabbè...

Venendo a qualche considerazione sulla città (ma in fondo sull'American way of life), diciamo che:

- i negozi che affittano gli smoking esistono davvero. In Italia non ne avevo mai visti, qui è pieno di "tuxedo rental", che cazzo ci faranno mai...

- ci sono anche le palestre a più piani con le pareti di vetro per far venire l'ulcera ai ciccioni che camminano per strada;

- la città è piena delle bestie più strane, e non mi riferisco alle persone. Scoiattoli che rovistano nei cassonetti, oche che starnazzano nei giardini intorno al Washington memorial; uccelli di ogni dimensione che gironzolano dappertutto. mah...

- sarà anche un popolo "avanti", ma resta il mistero dei misteri: non avendo bidet e mancando il "telefono" della doccia, come mai potranno fare per lavarsi dove non batte il sole? Ho sempre dubitato che gli USA potessero esportare la democrazia, ora aggiungerei che di sicuro non possono esportare l'igiene intima. Tra l'altro, questi wc pieni d'acqua sono un affronto più che sfrontato a Archimede e al principio dei vasi comunicanti.

- confermo l'inesistenza di un concetto urbanistico di "piazza" per come lo intendiamo noi. Sarà banale come considerazione, ma in una città dove le strade si chiamano o con i numeri o con le lettere (N street ?!?) la cartina più che una mappa è uno schema da battaglia navale.

- confermo anche la sensazione della cugina sulla necessità per ciascun individuo di avere una quantità di spazio per sè di dimensioni spropositate. ci sono pick up della dodge che girano per strada immatricolati come mezzi di trasporto, ma a vederli bene hanno una metratura calpestabile da far invidia a un appartamento di medie dimensioni.

- i taxi sono una figata. tantissimi, li si ferma davvero con un gesto (anche della gamba se hai le mani occupate, come nei film!) e costano poco. Checchè ne dirà il buon silvio, il prezzo dei taxi è calmierato (dalla celebre DC Taxi Commission) e questo migliora il servizio: non avendo da spellare il pollo di turno con giri della madonna, il tassista (perlo più nero o ispanico e cmq sempre cortese) corre come un dannato perchè prima ti porta e prima prende un altro cliente, tanto il prezzo quello è.

Dopo un accenno con una tizia oggi su The Mall (Nell di Detroit), stasera mi preparo alla mia prima conversazione strutturata, oltretutto con un ospite d'eccezione: Thomas, il ragazzo di Marianna. Mi piace l'idea di uscire "con uno del posto", mi fa sentire meno "turista per caso".

martedì 5 febbraio 2008

Italiano? Emigrante?


L'impatto con gli USA è stato soprattutto l'impatto con le pratiche dei rigidissimi e zelanti gendarmi dell'immigrazione. Praticamente, una volta sceso dall'aereo sei in loro potere, non esisti come essere umano. Forse come numero di passaporto (ed è anche strano che non te lo tatuino sull'avambraccio). Per i più curiosi, fughiamo ogni dubbio: il dito nel culo non me l'hanno messo in cerca di ovuli di cocaina o cos'altro (peccato, direbbe qualcuno).

La fila alla serie infinita di controlli (compreso il rilascio delle 10 impronte digitali e della foto della retina) non credo sia diversa da una Ellis Island moderna. Ci saranno i pc, ma il clima di timore verso l'uomo in uniforme è lo stesso. Domande su domande, richieste di informazioni su tutto, compresa l'entità del mio conto in banca e il limite di prelievo all'estero del mio bancomat (ehm, signora maestra, non ho studiato...). Il tutto per un'ora buona di file e di moduli da compilare.E dire che sono anche stato fortunato ad essere arrivato tra i primi al controllo doganale, chi era in fondo secondo me è rimasto ad aspettare il suo turno più di tre.

Il volo, almeno quello, è andato benissimo, a parte la compagnia. Arrivo al mio posto (finestrino!! cazzo, la voglio vedere l'America all'orizzonte, come sui transatlantici di inizio Novecento) e vedo una specie di comodino che si aggira tra la fila 22 e 23 e penso: "no! questa a stento entra in un sedile, mo me la devo pure tenere a fianco". Poi, si sa, sono un signore e le cedo il mio posto, accomodandomi in una comunque non spiacevole poltrona-corridoio. Il tubo Innocenti di cui sopra rispondeva al nome di Annie, di Chicago, tornava a casa via Washington dopo due settimane a Roma con i suoi (che però, più dritti di lei, prima di tornare se ne sono sparati un'altra in solitaria a Parigi). Anche gli occhi vorrebbero la loro parte, certo, ma poi mi dico, "dai, almeno sembra socievole, si può impostare una prima conversazione per testare il livello di lingua". Non abbiamo ancora finito con i convenevoli che si toglie le scarpe. Ovviamente, non dopo avermi detto che l'ultima notte l'ha passata in giro per Roma e poi ha dormito qualche ora in aeroporto. Come dire, non sembrava di passeggiare in Provenza alla fioritura della lavanda, ma tant'è... In ogni caso, l'oscura presenza si è alienata prima con un libro e poi è caduta in catalessi fino all'atterraggio. Ovviamente in tutto questo ha avuto l'accortezza di tirare giù la tendina e rendere il panorama della mia trasvolata sull'oceano uguale a un viaggio in ascensore.

Cmq ora sono in albergo, Windsor Inn, 1842 16th str., un discreto tugurio, ma per furtuna ha internet wireless e ho già salutato in po' di persone.

lunedì 4 febbraio 2008

Come disse la cugina... "e blog fu".
A pensarci, non è che se ne sentisse il bisogno: non mi è parso di vedere folle bibliche accalcarsi in viale delle province reclamando puntuali resconoti dalle lande desolate dell'Ontario. Ma in questi mesi che sono via volevo buttar giù qualcosa più che altro per me, per poi rileggermi a distanza di tempo. In Germania l'ho fatto poco e me ne sono pentito parecchio.
Come per chi è già conivolto nella premiata ed instancabile newsletter "Giovanni lo fa!", aver avuto notizia di questo blog è segno che siete dei privilegiati. Sì, potete vantarvene con gli amici.

Vediamo di riassumere come stanno le cose ad oggi, a poche ore dalla partenza.
Il fratello millanta di festeggiare l'indipendenza domestica con "l'uomo nero se ne va party"; il Lombardi invece di venirmi a salutare ha preferito andarsene a Venezia per vedere la sfilata delle drag queen; Leti è riuscita a prendere il treno al volo all'ultimo minuto, ma forse è stato meglio così, costringendoci a un saluto "indolore". Dulcis in fundo, venerdì mattina si è data alle stampe (nonchè al pubblico ludibrio) la tesi: in cuoio grigio con le scritte nere, decisamente di nicchia! La prossima settimana raggiungerà i mitici commissari che inizieranno a demolire senza pietà due anni della mia vita.

L'idea della partenza è stata sommersa, fino a qualche giorno fa, dalle mille altre scadenze (master, tesi, spedizioni, rilegature, etc), ma ormai ci siamo.
Ragazzi! Qui si tratta di attraversare l'oceano, di andare dall'altra parte del mondo, di andare in AMERICA! "L'america è Atlantide, l'America è il cuore, è il destino. L'America è Life, sorrisi e denti bianchi su patinata. L'America è il mondo sognante e misterioso di Paperino", come diceva Guccini (e da qui il nome di questo blog, ma 2.0, per ovvie ragioni).
Mi spaventa un po' il confronto immediato in lingua, non so cosa si aspettano da me nella segreteria del mitologico senatore (http://www.sen.parl.gc.ca/senatorcon/, guardate che faccia c'ha!) e spero anche che i miei compagni di casa Annie e Luke (o Lucas?) siano simpatici come sono sembrati per mail.

Ora vado a nanna, non dopo avervi informato via mail di questo blog. Mi incuriosisce parecchio lo strumento del blog, e cercherò di aggiornarlo quanto più spesso possibile. Se vi va, commentate, che così cerco di stare dietro a quello che fate anche voi. Prometto di tenere un archivio stile Michele Apicella (il maniaco omicida di Moretti in Bianca, che scheda tutti gli amici e aggiorna i dossier a ogni novità).

Ps. la canzone che ho in testa in questi giorni è una sola:
"Words are flying out like endless rain into a paper cup, they slither while they pass, they slip away across the universe. Pools of sorrow, waves of joy are drifting thorough my open mind possessing and caressing me
Jai guru deva om
Nothing's gonna change my world"

Esatto, mentre sono via nothing's gonna change my world...

Ah, vai in Canada? E dove di preciso, a Toronto? Uhm... E dov'è Ottawa?

Ah, vai in Canada? E dove di preciso, a Toronto? Uhm... E dov'è Ottawa?